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“Diverso da chi? L’Amore che rinasce dall’incontro con l’altro”

Lo aveva già intuito Edward C. Banfield con il suo studio etnografico della società italiana e delle numerose comunità che popolano la penisola. Il famoso politologo statuinitense coniò il termine familismo amorale, etichetta che sin da subito aderì in maniera più che calzante alla realtà di Chiaromonte, piccolo comune in Basilicata di quasi 2000 anime. Le “Basi morali di una società arretrata”, scritto tanto sagace quanto lungimirante, destinato ad individuare con invidiabile chiarezza tutti i limiti di una società retta su interessi particolaristici e paure collettive.
Famiglie chiuse, poco propense a condividere problemi e risorse con una comunità più ampia, centrate e ripiegate su se stesse. Paure ancestrali mescolate a quelle del giudizio dell’altro, egoismo paralizzante e rigidi confini invalicabili. Abitudini custodite gelosamente, congelate con cura affinchè resistessero intatte al tempo e alle “incursioni”, tanto del diverso quanto del vicino.
“Un sistema che resta chiuso al suo interno non è in grado di abbandonare il vecchio né tantomeno di generare il nuovo, trasformando ed innovando le sue energie in qualcosa di più della semplice somma delle sue parti”.
Con questa definizione, che mescola frasi di diversi pensatori sparsi qui è là nella storia, ho cercato di esprimere con chiarezza quanto considero fuorviante il credere oggi che una società sovranista e chiusa al proprio interno con l’obiettivo prioritario di perseguire interessi particolaristici, in realtà, generi il risultato opposto a quello desiderato e cioè immobilità.
Non solo il sovranismo è un obiettivo controproducente in una realtà mondiale ormai globalizzata, ma lo è ancor di più guardando alla filogenesi dell’uomo e al suo progresso psico- sociale.
Difatti da sempre l’essere umano si è impegnato con estrema fatica nella ridefinizione dei propri confini interiori, così da progredire e raggiungere fasi di sviluppo sempre più alte. Questa affannosa operazione di “modellamento” è stata necessariamente accompagnata dalla ricerca del nuovo e del diverso, con cui l’uomo ha cercato di trovare nel mondo una cassa di risonanza ai suoi cambiamenti, corrispondenze sempre più accurate tra il dentro ed il fuori.
Ed invece oggi come ieri, l’Italia tutta come Chiaromonte, si mostrano reticenti all’apertura, invischiate nell’immobilità della paura e dell’abitudine. La paura del cambiamento non è qualcosa di irrazionale ma, al contrario, rappresenta una precisa strategia di sopravvivenza dell’uomo che in tal modo mette in atto un meccanismo di difesa grazie al quale genera una sorta di barriera protettiva. I venti che da più parti (n.b. Africa) soffiano a spostarne gli equilibri sono così ridotti a folate che occasionalmente toccano la nostra vita, ma non abbastanza da poterne entrare a far parte. Non comprenderne la portata fa si che un’imperdibile occasione di arricchimento si trasformi esclusivamente in un fardello da portare al collo, come un cappio che stringe ma allo stesso tempo diventa indispensabile capo di vestiario del nostro Sé, di cui non riusciamo più a farne a meno.
Ma perché? Siamo davvero così davvero spaventati di cambiare le nostre abitudini fino al punto di girarci dall’altra parte di fronte alla morte? Siamo così tanto insicuri ed attaccati al familismo da dimenticarci quando i nostri bisogni nei momenti di pericolo siano stati accolti dall’altro, da un mondo che nonostante tutto sembra ancora volerci bene, almeno un po’? Perché, mi chiedo, sia meno riprovevole che una persona di un paese lontano muoia di fame piuttosto che un qualsiasi nostro connazionale? Mi chiedo cosa ci spinga ad incasellare l’umanità in una classifica, quando e dove è nato il nostro bisogno estremo di sentirci protetti, a tutti i costi e fino alle armi, fino ad uccidere, fino a soffocare la parte di noi stessi più sana, quella che ci fa vivere ed amare, guardare negli occhi un uomo e rivedere le nostre stesse paure e bisogni, speranze e desideri.
Così mi fermo…mi guardo indietro e ripenso ad una lezione che appresi anni fa, quando una donna mi ricordò che l’amore non si misura, niente pesi e misure, niente più o meno, strategie e calcoli…l’amore in tutte le sue forme è diverso……e proprio nel diverso trova la sua ragion d’essere, la corrispondenza più vivida dell’amore per noi stessi, punto di arrivo e di partenza per un amore nuovo, rinnovato e sempre più profondo….
A cura di Emiliano Perazzelli
Laureato in ‘Sociologia e Ricerca Sociale’

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